di Jack London
Un grande cane lo seguiva a passo svelto: era un husky nativo, il vero cane lupo dal manto grigio che non mostrava differenze apparenti o caratteriali rispetto al fratello lupo selvatico. L'animale risentiva del freddo tremendo: sapeva che non era il momento giusto per viaggiare, il suo istinto lo metteva in guardia di fronte a una verità che i ragionamenti dell'uomo continuavano a ignorare.
In realtà, non faceva semplicemente più freddo di quarantacinque gradi sotto zero: la temperatura era scesa oltre i cinquanta, sessanta sotto zero. C'erano settantacinque gradi sotto zero. E dato che il punto di congelamento è a trentadue gradi Fahrenheit, significava dover affrontare centosette gradi di ghiaccio. Il cane non sapeva nulla di termometri e nel suo cervello probabilmente non esisteva una percezione acuta della condizione di freddo estremo, come quella che abitava nel cervello dell'uomo. Ma dalla sua la bestia aveva l'istinto e l'istinto trasmetteva al cane una sensazione vaga, ma sinistra, che lo sottometteva, facendolo trottare furtivo alle calcagna dell'uomo. Era la stessa sensazione che lo metteva in guardia ogni volta che l'uomo azzardava il minimo gesto fuori dall'ordinario: qualsiasi cosa che lo inducesse a pensare che quell'uomo fosse in procinto di preparare un campo, cercare riparo e accendere un fuoco. Il cane aveva imparato cos'era il fuoco e adesso quel fuoco lo voleva: o avrebbe almeno voluto scavarsi un buco nella neve e raggomitolarsi lontano da quell'aria per non disperdere ulteriore calore.